RICORDO DI RAY
di Elettra Ferraù
Come si fa a scrivere di una persona che stimavi e a cui volevi bene, che se n'è andata troppo presto? Tutto fa velo: l'amicizia, l'affetto, la memoria... Come si fa a trovare le parole giuste, non troppo enfatiche ma neppure asettiche, per esprimere il dolore, il rimpianto, il ricordo? Anzi, i ricordi….
Il mio primo ricordo di Ray Lovelock risale alla fine degli anni '50, era un ragazzino sorridente che, con i suoi due fratelli Paolo e Michael (Andrea stava per arrivare), ogni tanto faceva capolino nella grande stanza dove sua madre Maria Antonietta mi insegnava a fare "conversazione" in inglese. E insegnava anche molto bene, perché sembra che i risultati siano stati più che soddisfacenti… E a quel tempo c'era anche "Daddy", il papà dei quattro Lovelock, un signore molto British e molto affascinante.
Col passare degli anni, i fratelli Lovelock crescevano, incluso l'ultimo "cucciolo" Andrea, oggi giornalista di razza, e Ray cominciava a manifestare la sua vocazione per lo spettacolo, come cantate prima e (soprattutto) come attore: indimenticabile il ruolo del bandito adolescente in "Banditi a Milano" di Carlo Lizzani.
Per un po' di tempo, finito il mio corso d'inglese con Maria Antonietta, ci perdemmo di vista, e tanti anni dopo ci ritrovammo per un caso fortuito all'Ambasciata d'Australia. Da qui a frequentarci nuovamente il passo fu breve. Dopo pochi mesi Andrea Lovelock venne lavorare nella redazione del giornale turistico che dirigevo e riprendemmo a vederci tutti insieme, spesso, durante la pausa pranzo: i ragazzi erano diventati uomini, ormai: Paolo, Michael, Ray, Andrea. Ray, con la sua amatissima moglie Gioia e l'adorata figlia Francesca Romana… Lui lavorava molto in quel periodo: dopo tanti film (Wikipedia ne elenca 44) fu il tempo di tante fiction tv (ne ho contate 51, in tutta la sua vita professionale).
Ma c'era anche la musica, che componeva ed eseguiva accompagnandosi con la chitarra, e nelle serate con gli amici ci si intratteneva fino a tardi ad ascoltare Ray, e anche Andrea dimostrava un notevole talento.
La "piccola" Francesca Romana cresceva, gli anni passavano, l'attore Ray Lovelock si faceva più maturo e più talentuoso, e calcava con successo anche il palcoscenico: "'L'ultimo yankee" di Arthur Miller al Festival dei Due Mondi di Spoleto, "La cuoca" per la regia di Augusto Zucchi, che vinse il premio Diego Fabbri, "I Ponti di Madison County", ed altro ancora.
Legatissimo alla sua famiglia, ha sempre rifiutato la cosiddetta vita mondana. E ha rifiutato anche di fare spot pubblicitari, nonostante le allettanti offerte. Era timido? Non lo so, di certo era molto riservato e schivo, e a un certo punto, anni fa, decise di vivere in Umbria, in tranquillità con tutta la sua famiglia, che nel frattempo si era arricchita con l'arrivo di un bellissimo nipotino.
Poi la notizia della sua malattia, e poi la fine. Non ci posso ancora credere. Ma voglio dare il mio minuscolo contributo al ricordo di una persona perbene, di un attore serio, di un uomo meraviglioso. Addio, Ray, anzi no, arrivederci, perché ci rivedremo, sai? Per me la morte non è la fine di tutto, non può e non deve esserlo….